Abstract

In mercati in rapida evoluzione, come illustrare al meglio l’intercambiabilità dei biosimilari?

Titolo dell’articolo: Interchangeability of Biosimilars: What Level of Clinical Evidence is Needed to Support the Interchangeability Designation in the United States?

Citazione: Alvarez DF et al. BioDrugs 2020;34:723–32

Data di pubblicazione: settembre 2020

Pubblicazione dell’abstract: agosto 2021
I biosimilari sono approvati come altamente simili al relativo biofarmaco di riferimento, ma non necessariamente intercambiabili con esso. Mentre i mercati si muovono sempre più verso l’accoglienza di biosimilari a basso costo e di biofarmaci con il miglior rapporto qualità-prezzo, come possono i medici essere certi della sicurezza dello switching?

I biofarmaci sono molecole complesse prodotte utilizzando estratti purificati di microrganismi geneticamente modificati e brevettati dall’azienda innovatrice, generalmente per 10 anni. Dopo la scadenza del brevetto, altri produttori possono commercializzare copie successive del biofarmaco originator, chiamate biosimilari. I biosimilari non possono essere considerati identici ai biofarmaci a causa delle differenze presenti nei processi di produzione, ma solo “altamente simili”, senza differenze clinicamente significative.

Negli Stati Uniti, l’intercambiabilità è determinata dalle leggi dei singoli stati, il che implica che i biofarmaci possano essere scambiati con i biosimilari dalle farmacie senza l’intervento del prescrittore. Per essere considerato intercambiabile, un farmaco richiedente deve dimostrare la biosimilarità e provare che produca gli stessi effetti clinici dell’originator in ogni paziente e che lo switching non avrà conseguenze avverse rilevabili.

Poiché la biosimilarità non implica automaticamente l’intercambiabilità, un recente studio ha esaminato le caratteristiche di progettazione destinate a sostenere entrambe le designazioni normative contemporaneamente, incorporando elementi per stabilire (1) la biosimilarità e (2) l’intercambiabilità: (1) i partecipanti vengono inseriti in uno studio di confronto randomizzato, testa a testa, che indaga la sicurezza e l’efficacia del biosimilare rispetto all’originator; (2) i partecipanti sono randomizzati in uno studio di switching, ricevendo il biofarmaco e il biosimilare per almeno un periodo di esposizione ciascuno. La valutazione dovrebbe basarsi sui profili di farmacocinetica e immunogenicità dei farmaci.

Risultati

I ricercatori hanno concluso che gli studi di switching potrebbero non essere assolutamente necessari per sostenere l’intercambiabilità. I passaggi multipli tra biofarmaci e biosimilari si verificano nella pratica clinica quotidiana di routine, e l’esperienza accumulata grazie a questo approccio può fornire una ricchezza di dati provenienti dal “mondo reale”. In futuro, studi di registro prospettici e studi clinici (con componenti del mondo reale) potrebbero ovviare alla necessità di studi di switching dedicati per stabilire la condizione di intercambiabilità.

Conclusioni determinanti

Esistono diversi casi di switching nel “mondo reale” tra biofarmaci e biosimilari che si verificano nella pratica quotidiana. La raccolta di questi dati fornirebbe una grande quantità di informazioni sullo switching per aiutare nella designazione dell’intercambiabilità di un dato biosimilare.